Viaggio al centro della terra

Il primo ricordo che conservo delle grotte, risale agli anni Settanta, quando tutt’attorno c’era solo campagna, ma lo stupore per quel mondo incantato non è mutato dopo quarant’anni e decido di tornare, per condividere quell’emozione anche anche con mia figlia.

Oggi, una struttura ben organizzata ha sostiuito l’accoglienza improvvisata di un tempo: un ampio parcheggio, un ufficio informazioni, tanti negozietti di artigianato e piccoli punti di ristoro, un museo e un planeterio fanno da corollario alla visita.

C’è tanta gente e un po’ di fila, davanti alle casse, ma so che l’attesa vale lo spettacolo che andremo ad ammirare.

Si accede alle grotte attraverso una scalinata un po’ scivolosa. Le pareti rocciose presentano varie striature dall’arancione al verde, al bianco, al bruno, a seconda della diversa stratificazione e composizione mineraria. La temperatura scende precipitosamente dai quaranta gradi esterni ai diciotto interni ed è pertanto consigliabile munirisi di felpe o maglioni per ripararsi dall’elevata umidità del complesso speleologico.

Prima tappa obbligata è la grotta della Grave, una’ampia caverna con un’apertura sul soffitto da dove penetra la luce del sole, creando giochi di chiaroscuro sulle diverse composizioni di stalattiti, poste al centro della grotta.

La guida spiega l’origine millenaria del posto: le grotte soo state scavate da un fiume sotterraneo, mentre le stalattiti e stalagmiti sono state modellate dallo stillicidio calcareo dell’acqua. L’acustica non è ottimale in questi luoghi, sebbene siano spesso utilizzate come teatri naturali ed il chiacchiericcio fastidioso di alcuni turisti copre a tratti la voce della guida.

Il buco nel soffitto della grotta d’accesso è sempre esistito a memoria d’uomo. Gli abitanti del luogo lo credevano un pozzo senza fondo e per decenni vi hanno buttato dentro detriti ed immondizia di ogni tipo. La scoperta dell’intero sistema di grotte, ad opera dello spleologo Franco Anelli, è avvenuta nel 1938, nell’ambito di una più vasta campagna di ricerca speleologica, estesa a tutto il territorio delle Murge.

Mentre scendiamo a piccoli passi per non scivolare, su un pavimento lastricato in pietra a spacco e rivestito con discutibili passerelle plastificate, la guida si raccomanda di non toccare nulla e di non fotografare, per non intaccare la fragile natura del luogo, ma il suo appello rimane inascoltato. Un turista con zaino da montagna in spalla, urta ripetutamente le stalattiti. Una signora con difficoltà di deambulazione le adopera come bastoni. Le risate di un gruppo chiassoso disturbano la visita altrui. Le grotte non sono certo un luogo religioso e non è vietato parlare, ma si dovrebbe avere il buon gusto di ammirare la stepitosa fantasia della natura, anziché preoccuparsi di fare selfie di nascostoo urlare con bambini impertinenti.

“Le grotte di Castellana, estese per circa 3 chilometri, si aprono a 330 m sopra il livello del mare a meno di 500 metri dall’abitato di Castellana”, dice la guida seccata, mentre nessuno la ascolta.

Mi arretro un poco e mi lascio trasportare con l’immaginazione in una foresta pietrificata, abitata da folletti e fate. Ci aggiriamo, come elefanti in una cristalleria, tra caverne, voragini e concrezioni a cui sono stati dati nomi fantasiosi: la grotta Nera o della Lupa, il Cavernone, la Calza e la Civetta, la Madonnina, il corridoio del Serpente, la caverna del Precipizio, il piccolo Paradiso, il Grand Canyon, il laghetto dello Stillicidio, la caverna della Torre di Pisa, la grotta della cupola e il laghetto dei Cristalli.

Tre chilometri di percorso, circa due ore di cammino che conducono allo stupore per eccellenza, la Grotta Bianca. Qui concrezioni di alabastro scintillano alla luce artificiale dei fari, pur nella loro opalescenza, lasciando tutti senza fiato. Mi ritonano alla mente alcune immagini del film “Viaggio al centro della terra”, ma il flash di un turista, mi riporta subito alla realtà. Un tale spettacolo naturale dovrebbe essere maggiormente tutelato, con controlli più severi e puntuali, sanzioni per i trasgressori e limitazione al numero di accessi giornalieri che, se continueranno con ritmo incessante, finiranno per distruggere questo tesoro, custodito gelosamente per millenni dalla natura, ma non lasciatevi influenzare dal malcostume del popolino. La visita alle grotte di Castellana è senza dubbio un’esperienza indimenticabile.

Nel blu dipinto di blu

Quando penso a Domenico Modugno non posso non pensare a Polignano a Mare, la sua città natale, dove il mare assume tutte le sfumature del blu, fino a confondersi con il cielo azzurro.
Arroccata su uno sperone roccioso, Polignano è una cittadina in provincia di Bari, con un meraviglioso centro storico e scorci sul mare che fanno sognare.

Nelle sue vie bianche e strette, in cui riecheggiano influenze di architetture arabe, bizantine e settecentesche, si respira il profumo del mare che si mescola all’odore dell’ottima cucina locale. Mentre gli occhi si riempiono dei mille colori delle ceramiche e dei tanti oggetti artigianali, l’animo resta sospeso e sorpreso dai versi poetici scritti sui muri, sulle scale, sulle finestre ad opera di “Guido il flaneur”, un barese che dal 1984 si è traferito qui. È lui l’autore dei versi che si ritrovano sui muri delle vie del centro e che accompagnano il visitatore, invitandolo a godere della magia del posto.

La statua in bronzo di Modugno si erge, invece, su una terrazza sul lungomare ed abbraccia, in un unico gesto, il cielo ed il mare.

Dal ponte sull’antica via Traiana, che attraversa la Lamia Monachile, ci si affaccia su una caletta di ciottoli, stretta tra due speroni, sempre molto affollata d’estate. Questo è certamente il luogo più popolare di Polignano. Dalle pareti di roccia a strapiombo sulla caletta i giovani polignanesi si tuffano nel blu del mare, con salti spettacolari, che lasciano con il fiato sospeso.

Un panorama altrettanto mozzafiato si può ammirare dalla Grotta Palazzese, un ristorante molto caratteristico e raffinato, ricavato in una grotta marina. La particolarità del luogo, oltre al fatto di trovarsi dentro la roccia, a picco sul mare, è che la grotta non è visibile da alcun punto del paese, quindi, a meno che non intendiate prenotare, potrete ammirare il posto solo in fotografia.
Se non intendete spendere una fortuna per pranzare in questo lussuoso ristorante, Polignano offre comunque molte valide alternative: dalle trattorie in cui gustare prodotti locali come la “tiedda” o il “coccio di mare”, ai bar che vendono panzerotti e focaccia barese o pescherie in cui si può scegliere e gustare il pesce fresco. Inoltre, se vi trattenete fino all’ora dell’aperitivo, vi consiglio di provare il Mojto della “Casa del Mojto”, il più buono della movida barese.
Una visita a Polignano è un’esperienza che gratifica gli occhi e il cuore e facendo ritorno a casa, con gli occhi accecati dal blu del mare, vi consiglio di ammirare con altrettanta poesia e stupore la bellissima campagna barese, in cui sono ordinatamente posti trulli e muretti a secco, memoria storica della cultura popolare.

Pantelleria, la ventosa

Ho sognato questo viaggio a lungo, sin da quando una sera in Brianza ho assaporato per la prima volta i sapori panteschi e ascoltato i racconti di un abitante dell’isola. La magia di un luogo sospeso tra due continenti, l’Africa e l’Europa, mi ha catturata e finalmente eccomi qui. Appena approdata sull’isola mi ha colpito l’aspetto lunare delle coste nerissime e spigolose, che rendono l’accesso al mare una conquista quotidiana. A Pantelleria non ci sono spiagge, solo calette per lo più accessibili solo dal mare. Qui è il vento il vero grande protagonista, perché a seconda di come tira ci si organizza la giornata: se c’è vento di tramontana da nord- ovest, ci si ripara nelle calette dalla parte opposta dell’isola, a Martingana, mentre se lo Scirocco spira da sud-est ci si rifugia verso marina di Mursia e Suvaki, oppure nello splendido lago di Venere, noto per i suoi fanghi e la sua acqua sulfurea o nel Laghetto delle ondine, una grande pozza di mare alimentata dalle mareggiate, raggiungibile solo a piedi attraverso un percorso alquanto arduo e difficoltoso tra le scogliere.
Pantelleria, terra vulcanica, è nota anche per le sue terme naturali, come cala Gadir dove si può provare il frigidarium e calidarium o nella grotta di Benikula, dove si può usufruire di una sauna naturale.
Il vento trasporta l’odore del mare anche nell’entroterra, tra i terrazzamenti di Zibibbo e le coltivazioni di capperi che hanno reso l’isola famosa in tutto il mondo. Qui hanno sede le rinomate cantine di Donnafugata e di Pellegrino che producono il Passito, un vino dolce, ricavato dalle uve passite. Ottimo anche il pesto pantesco e il paté di capperi e mandorle, servito su bruschette, ma anche l’insalata e il bacio pantesco.
Vivere a Pantelleria non è un’impresa facile. Qui non c’è il mare azzurro-piscina di Lampedusa, ma una tavolozza di colori che va dal blu profondo al verde smeraldo. Non c’è lo struscio serale tra negozietti trendy e nemmeno la movida di Panarea. Pantelleria è un’isola di contadini che strappano metro per metro la terra alla natura selvaggia e vulcanica del luogo, proteggendo dal vento i rari alberi di agrumi con costruzioni cilindriche a secco (giardini panteschi), con terrazzamenti e muretti a secco a protezione delle viti basse di Zibibbo.
Completamente distrutta dai massicci bombardamenti americani della seconda guerra mondiale, Pantelleria è stata ricostruita ex novo nel dopoguerra, ma sott’acqua si ritrovano ancora i resti archeologici della sua storia fenicia e araba che ha lasciato importanti tracce nella cultura e nelle tradizioni. Anche i dammusi, tipiche costruzioni locali, costruiti a secco con pietra lavica, sono costruzioni di tradizione araba, che si mimetizzano tra le rocce lunari e la vegetazione selvaggia, lasciandosi scorgere solo per le basse volte bianche dei tetti.
Pantelleria, detta la ventosa, per il vento che spira ogni giorno dell’anno, è una terra aspra e difficile, ma chi la ama, la ama per sempre ed è forse per questo che è stata scelta come residenza estiva da molti vip in cerca di tranquillità e quando la si lascia, lo si fa sempre lasciandoci un pezzo di cuore.
“Non c’è altro posto sulla terra che faccia pensare alla Luna così come Pantelleria, ma Pantelleria è più bella” Gabriel Garcia Marquez

Dal Philadelphia museum a Milano

Dall’08 marzo al 29 settembre 2018  è in esposizione a Palazzo Reale a Milano una selezione di opere di arte moderna, provenienti direttamente dal Philadelphia Museum. Si tratta di cinquanta opere che ricoprono il periodo tra Ottocento e Novecento, dagli Impressionisti, ai Surrealisti, ai Cubisti, agli Astrattisti: Renoir, Monet, Manet, Degas, Picasso, Cezanne, Matisse, Klee e tanti altri autori, per la prima volta esposti in Italia.

Curata in ogni dettaglio, la mostra conduce per mano il visitatore attraverso le avanguardie artistiche e il collezionismo d’oltreoceano, in un gioco sapiente di colori e luci dei grandi maestri della pittura, che non hanno certo bisogno di presentazioni.

La mostra si offre di ricostruire nell’atmosfera quasi intima delle case americane, che rimanda al collezionismo, il percorso artistico delle avanguardie, con dettagliate spiegazioni con pannelli ai lati di ciascun quadro, che appare persino superflua per alcuni quadri che si donano da sé alla vista ed alla percezione del visitatore.

E si rimane estasiati da tanta bellezza e luminosità.

Miseria e nobiltà a Palazzo Gattini a Matera

Palazzo Gattini, è oggi un luxury-hotel sito sulla Civita, lo sperone roccioso che domina dall’alto i Sassi di Matera, a pochi metri dall’antica cattedrale romanica.  Sul portale d’ingresso è ancora visibile lo stemma della famiglia, un gatto che morde un serpente, simbolo della casata cinquecentesca che vi dimorava.

L’antico deposito delle carrozze, è oggi stato trasformato in un ampio e accogliente ingresso con reception, nel quale il tufo delle spesse pareti, viene accostato a legni pregiati e pesanti che ne nobilitano gli interni, tuttavia si mormora che in queste stanze, nelle notti d’inverno, si oda ancora il pianto sommesso della contessina che qui fu costretta ad assistere alla morte del padre, il Conte Francesco trucidato a seguito in un moto di rivolta dei contadini contro il latifondo. Sono tutte stanze pregne di storia, quelle che l’architetto Ettore Mocchetti, direttore della rivista AD Architectural Digest, ha elegantemente restaurato e riportato all’antico splendore.

Miseria e nobiltà, arte e storia, ombre e luce, si coniugano in questa struttura, con suggestiva eloquenza, ridando lustro al fascino dell’antico Palazzo, restaurato e rivisitato in chiave moderna, grazie all’uso di accostamenti audaci e contrastanti, accuratamente progettati per stupire ed esaltare la bellezza del luogo: luci morbide e soffuse, tendaggi pesanti, vistosamente colorati, arredamenti in legno pregiato, appositamente realizzati da artigiani locali, sono accostati a materiali poveri e porosi che richiamano l’ancestrale bellezza dei Sassi. Venti camere esclusive, tutte affrescate,  progettate ed allestite minuziosamente, si affiancano ad una sala meeting che sorge nella vecchia cappella gentilizia, ad un caffè letterario  con ottocento libri antichi ed un ristorante posto nella vecchia formaggiera, dove si possono assaporare le prelibatezze locali, mentre  nei locali interrati, dove un tempo erano collocate le antiche cisterne per l’acqua e le grotte utilizzate come cantine, è stata oggi creata una suggestiva Spa, che ricorda le terme romane ed offre trattamenti di bellezza in un ambiente di grande raffinatezza e relax.

Per gustare al meglio Matera, nella sua autenticità e bellezza, senza rinunciare all’eleganza, Palazzo Gattini è senz’altro il luogo ideale per soggiornare.

 

Pace e relax in Villa Venino a Novate

A Novate Milanese,  un piccolo paese alle porte di Milano, sorge Villa Venino, un complesso architettonico che risale al 1700.  La Villa, che deve il suo nome alla famiglia che vi risiedeva nel 1800,  è composta dalla corte nobile affiancata a quella rustica, secondo i canoni comuni a numerosi ville lombarde.

Al contrario delle ville di delizia, come Villa Litta a Lainate o Villa Arconati a Bollate, Villa venino è sempre stata  una residenza strettamente legata al contesto produttivo-agricolo della zona, come testimonia la presenza del “cortile dei contadini”, dove veniva effettuata la trebbiatura del granoturco e del frumento.

Accanto a questi caratteri popolari, la villa presenta anche caratteri nobili  come la torretta, il portico a tre archi, la sala della colonna e per finire il bellissimo soffitto a cassettoni lignei del salone a piano terra, incorniciato dall’alberatura secolare del giardino retrostante.

Nel corso degli anni, diversi interventi architettonici, hanno compromesso l’estensione e la composizione dell’immobile, ripristinato e restituito alla cittadinanza con il restaura del 2006, è attualmente destinato in parte a Biblioteca comunale ed in parte a residenza.

Nel corpo centrale della villa sono collocati i dipinti della mostra permanente di  Padre Ambrogio Fumagalli ed il Fondo Giovanni Testori, oltre a numerose opere di stimati artisti contemporanei. Le sale più belle, che si affacciano sul giardino, ospitano invece convegni, mostre d’arte e la celebrazione di matrimoni civili. Il cortile d’estate è invece luogo di eventi e concerti musicali.

Se passate da queste parti, una visita alla Villa ed al suo bel giardino, segneranno un momento di pace e di relax nel vostro viaggio.

Presepe vivente nei Sassi

Da qualche anno a Matera, durante le festività natalizie, l’Amministrazione Comunale organizza un presepe vivente. Nei primi anni il presepe altro non era che l’allestimento di alcune grotte con un numero esiguo di comparse, vestite con abiti dell’epoca, che si apprestavano a rievocare la Natività. Nel tempo il presepe vivente è andato arricchendosi di scene e personaggi e parallelamente è cresciuto il numero dei suoi visitatori. Diventato ormai un appuntamento fisso per la città, che si accinge a svolgere il ruolo di Capitale Europea della cultura nel 2019, quest’anno il presepe si snoda attraverso ricostruzioni storiche del racconto della nascita di Gesù, egregiamente rappresentate da attori professionisti in chiese e luoghi appositamente dedicati del centro storico materano. La cornice dei Sassi, aggiunge bellezza ad una rappresentazione eloquente e sugestiva. Attraversando le scene dell’Annunciazione, del mercato, dei sacerdoti nel Tempio, di Erode che ordina la strage degli innocenti ed infine della Natività con l’arrivo dei Magi, il visitatore ha l’impressione di essere stato catapultato indietro nel tempo, godendo del privilegio di poter assistere alla Storia di tutte le storie, la nascita di Gesù. Bella esperienza, da non perdere. 

Acquistate i biglietti per tempo. 

La Cripta del Peccato Originale a Matera

Posta sul fianco della Gravina, in direzione del Santuario di Picciano, la cripta, meglio conosciuta come Chiesa dei Cento Santi è un vero gioiello dell’arte rupestre e pittorica medioevale. Risalente al IX secolo d.c. fu costruita dai monaci bizantini, in prossimità dell’Appia antica  (attuale s.s. per Potenza) ed utilizzata come chiesa del vicino monastero. Costituita da un unico vano, interamente scavato nella roccia, presenta sulle pareti laterali numerose nicchie e affreschi di notevole fattura. Utilizzata in tempi recenti come ovile e soggetta a forte degrado, è stata riscoperta negli anni Sessanta dal circolo La Scaletta e riportata agli antichi splendori grazie ad un attento lavoro di restauro. I santi raffigurati nella tipica iconografia bizantina, sono opera di un autore locale detto “Il pittore dei fiori” che ha utilizzato per la realizzazione degli affreschi sia materiali locali che materiali provenienti dal lontano Oriente come il lapislazzuli. La particolarità dei dipinti sta nella fiorita vegetazione oltre che in alcuni dettagli inediti ed originali che hanno contribuito a farla conoscere nel mondo come la Cappella Sistina delle Chiese rupestri. Per accedervi, essendo posta in una proprietà privata,  è necessario prenotare e pagare un biglietto. 

Per info:http://www.criptadelpeccatooriginale.it/index.php?lang=it

La Grotta dei Pipistrelli a Matera

Lontana dai tradizionali percorsi turistici, la Grotta dei Pipistrelli a Matera è uno spettacolo senza uguali per gli amanti della natura, della speleologia e della storia locale. Ci si arriva percorrendo uno stretto sentiero che parte dal rione Agna e costeggia a strapiombo il profondo canyon della Gravina. La Grotta, scoperta da Ridola sul finire dell’Ottocento, era, nell’immaginario popolare, il luogo dove era stato nascosto il tesoro di Federico Barbarossa. In realtà la grotta non è altro che un intricato e angusto antro dove dimora una numerosa colonia di pipistrelli che alloggiano nella zona più  inaccessibile, buia e angusta della grotta. Facilmente disturbati dal vociare delle persone non avvezze a frequentare questi luoghi, possono prendere improvvisamente il volo, spaventano i turisti. La vera ricchezza del posto risiede nella suggestiva posizione a strapiombo sulla Gravina e nella bellezza ancestrale del panorama che da qui si gode.

Dentro Caravaggio

Dopo la mostra del 2005, Milano torna ad omaggiare Caravaggio con un’esposizione a Palazzo Reale di circa venti dipinti, provenienti da pinacoteche e musei di tutto il mondo, attraverso i quali si ripercorre la vicenda umana ed artistica di Caravaggio, mettendo in luce aspetti inediti della sua vita e della sua arte. “Dentro Caravaggio” è un’esposizione unica, perché accosta alla tradizionale mostra iconografica, i risultati delle indagini diagnostiche sui dipinti, rese con tecnologie multimediali che permettono di “entrare” nel dipinto per coglierne sfumature e segreti: sottotracce, ripensamenti e tratti inediti vengono analizzati e illustrati nel detraglio su monitor che affiancano il quadro originale. Accanto all’uso delle tecnologie multimediali, la personalità e l’evoluzione artistica del Caravaggio viene scandagliata atraverso nuovi documenti storici che per la prima volta fanno luce su periodi fino ad ora sconosciuti della vita del pittore. Per gli appassionati di storia dell’arte e per tutti i curiosi, questa mostra è un’occasione unica per addentrarsi nella creazione artistica di Caravaggio. Unico neo: una selezione ristretta dei dipinti del Caravaggio, che risente dell’assenza silenziosa dei quadri più noti.